Letras | Cocina
Mi hanno suggerito di provare ad aggiungere qualche intervento in Italiano. Ho detto di sí anche se con molta paura, paura di sbagliare a scrivere, di dire parole che potrebbero disturbare qualcuno, perché sia le parole che i modi di dire sono talmente diversi da un paese all’altro che a volte uno pensa di fare dei complimenti e invece si trova davanti a un interlocutore con gli occhi spalancati che vorrebbe scappare via (e ha ragione, tra l’altro).
Gli amici italiani che ormai mi conoscono abbastanza bene sanno che l’Italia occupa un posto di privilegio nel mio cuore e quindi vi prego, voi che mi state guardando adesso per la prima volta, non arrabbiatevi con me se qualcosa vi fa spalancare gli occhi, sapete che tutto ciò che dirò sarà detto con quell’immenso affetto che ho ricevuto da voi in questi anni in cui i giorni più felici sono stati quelli trascorsi in Italia. Detto con il cuore…
Qualche anno fa non credevo che fosse possibile piangere per l’arte, ma il secondo giorno che ero a Roma, visitando la Cappella Sistina, sembravo un bambino che aveva smarrito la sua mamma per sempre. Piangevo, piangevo e non riuscivo ne’ a distogliere lo sguardo dal soffitto, né a recuperare la calma. Uno stato purissimo di felicità provocato da un’opera d’arte e da un artista che è già in se stesso opera d’arte.
Sono venuta in Italia emozionata all’idea di conoscere Cortona, mentre la mia amica era sulle tracce di Michelangelo. Aveva letto tutti i libri che sono stati scritti sulla sua vita e le sue opere, e, da vicino, le si sentiva battere il cuore quando cominciava a parlare di lui. Dopo due giorni e un pianto di indescrivibile gioia nella Cappella, anche il mio battito si riusciva a sentire (e persino da lontano) e ho posto subito particolare attenzione ai suoi argomenti. Non sono una critica d’arte e non ho nemmeno studiato la vita di Michelangelo, dunque chiedo scusa per la mia limitata conoscenza. La mia umile ambizione è quella di trasmettervi la mia incapacità a esprimere lo sconcerto che mi colpiva davanti alle sue creazioni, la perplessità, l’ansia e l’angustia, l’afflizione e la perfezione, l’estasi mai avvertita prima così come una evidenza urgente di aver svelato un modo più intenso di stare al mondo…
Mai avvertita prima…
Guardare il viso più triste è fermarsi ferito per qualche tempo dietro al vetro trasparente che protegge la Pietà. Sotto le sue palpebre, socchiuse e pesanti, la vergine giovane custodisce il dolore di quelli che sono stati benedetti oppure scelti per essere lì a guardarla. Giovane vergine sofferente… Se potessi magari abbracciarla…
Non credo sia stato casuale incontrare quell’accogliente coppia di spagnoli seduti anche loro sulla panchina accanto al Davide. Dopo aver condiviso la sofferenza per il solito mal di piedi che martirizza i viaggiatori, abbiamo cominciato un’amicizia che dura ancora oggi. E ci domandavamo, assorti, da quale regno discenderà il talento che riesce a fare scorrere il sangue nelle vene di un marmo eternamente fermo? E la tensione dello spirito?
E allora Carrara. Le cave di marmo. Scusami Dio, ma perché non le hai messe in un posto più basso e raggiungibile? Quando siamo arrivati al bacino di Polvaccio, abbagliata dalla purezza dell’oro bianco, pensavo a lui, ai suoi grandi sacrifici fatti appunto per la sua passione, ai lunghi periodi vissuti in collina per selezionare la materia dei suoi sogni, a una vita creata e consumata intorno all’arte e vissuta solo per l’arte. Quello è l’opera colossale, la sua propria vita, e pensarci mi commuove molto di più che contemplare qualche miracolo di quelli che ci ha lasciato. Un dono di Dio… Tutto lui…
E poi il Mosè, e la Pietà del Museo dell’Opera del Duomo, e la Pietà Rondanini a Milano –la cui forza mi ha sconvolto fino alla paura–, e poi le Tombe dei Medici, e poi… e poi… e poi…
E poi… il nulla. Dopo l’Immensità mi è rimasta l’impronta vuota del suo dominio.
Per darmi sollievo, torno a Firenze.
Non sarà come riempirsi dell’Immensità sebbene visitarla gli somigli molto. Se ci fossero più posti liberi in città avremmo più bellezze da ammirare. Meno male. Perché già così si fa fatica a sopportare la sindrome di Stendhal, come dice una mia amica italiana.
Ogni volta che ci vado, di sera, prima di dormire, devo guardare il Duomo ancora una volta. Sono in hotel e ci penso e una forza mi ci fa andare quasi senza rendermene conto. E all’improvviso sono lì, la testa in alto, senza fiato, in scena il cielo sullo sfondo e stagliati contro di esso il Duomo e il Campanile. Con gli occhi puliti dalla visione, salto dal cielo al marmo in un esercizio splendido che finisce quando la stanchezza vince e me ne vado piano, sempre guardando indietro, il Duomo diventa più piccolo, il cielo più grande, avanzo più lentamente, trattenendo i passi, prolungando la fine, salutando con un ultimo sguardo i piccoli pezzi della cupola in lontananza…
Anche se non esistono vere testimonianze su cosa mangiava l’artista sappiamo che era una persona spirituale, ascetica e frugale, quindi “non adatto” ai piaceri epicurei. Trattandosi di un blog di cucina che vuole conquistare un vasto pubblico di lettori ho dovuto –per forza– trovare un piatto che fosse ugualmente semplice e artistico (rispettando il maestro) oltre ad essere invitante (coccolando me stessa). Per fortuna ho letto un articolo di Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, in cui diceva che a Michelangelo piaceva mangiare pere e formaggio, anzi, che mangiava soltanto pere e formaggio. Più che sufficiente. Direi ottimo e suggestivo.
Ispirata dalla sua moderazione –virtù difficilmente raggiungibile per me– e anche nei suoi versi che copio subito ho creato la mia ricetta.
«…venner le frutte, il formaggio e ‘l finocchio,
le pere cotte con qualche sfogliata:
poi quivi stetter lungamente a crocchio
a ragionar…» Michelangelo Buonarroti
1 pera non troppo matura
1 mela verde
1 finocchio
50 grammi di formaggio blu tagliato a fette sottili
25 grammi di pistacchi tritati grossolanamente
sale marino q.b.
pepe q.b
olio d’oliva q.b.
succo di limone q.b.
Preparazione:
Scegliere le frutte e il finocchio di simili dimensioni.
La mela: lavarla, sbucciarla e tagliarla a metà in senso orizzontale. Toglierle il torsolo e tagliarla a fettine sottili. Con l’aiuto di una forma cilindrica di metallo pareggiare i suoi bordi. Irrorare con succo di limone per non farle annerire.
Il finocchio: lavarlo e tagliarlo a fettine nel senso verticale dello spessore di ½ cm. Con l’aiuto di una forma cilindrica di metallo pareggiare i suoi bordi. Irrorare con succo di limone per non farle annerire.
La pera: lavarla, sbucciarla e tagliarla a metà in senso orizzontale. Toglierle il torsolo e tagliarla a fettine dello spessore di ½ cm. Con l’aiuto di una forma cilindrica di metallo pareggiare i suoi bordi.
Disporre la pera e il finocchio in una teglia, condire con un goccio di olio e appena del sale e cuocere in forno già caldo alla temperatura di 200º su entrambi i lati per circa 10 minuti o fino a completa doratura. Togliere dal forno e lasciare intiepidire.
Su un piatto da portata preparare lo spuntino alternando prima una fetta di mela, una di formaggio, una di finocchio, un’altra di formaggio e terminare con la fetta di pera. Cospargere coi pistacchi e il pepe.
Opzionale: versare sopra una spruzzatina di un buon aceto balsamico.
* Questo spuntino può essere servito accompagnato da una insalata di rucola e pistacchi condita con olio d’oliva, succo di limone oppure aceto balsamico e sale marino.
(Affezionata alla scrittura, alla buona cucina, al mangiare bene e ai buoni e grandi affetti, agente di viaggi di professione, sognatrice di vocazione, per sempre…)